Shiatsu è… benessere per l’operatore
Tempo fa comprai l’ottimo libro “Le Tecniche Corporee di Ohashi” e la prima cosa che mi stupi, già leggendone le prime pagine, fu il fatto che l’autore incentrasse il suo approccio sull’operatore e sul suo benessere. Mi sembrò una vera rivoluzione copernicana rispetto a quanto avessi letto fino a quel momento. Era un periodo in cui divoravo qualsiasi testo mi capitasse a tiro inerente lo Shiatsu e tutto quello che leggevo poneva un’esagerata enfasi sulle tecniche da adottare, i vari tsubo da trattare, le patologie del ricevente, ma nessun testo si soffermava abbastanza sul benessere dell’operatore.
Ohashi ha sviluppato uno stile che considera principalmente il benessere di chi lo pratica, di cui migliora la postura e il movimento ed è piuttosto simile allo Shiatsu che pratico (Ryu Zo). La priorità viene data dunque all’operatore che medita mentre pratica. Chi si occupa di discipline corporee sa bene che molti professionisti mentre soccorrono il corpo degli altri tendono a danneggiare il proprio con posture scorrette, tecniche innaturali e movimenti sbagliati. Ohashi si chiede come sia possibile lavorare a lungo, per anni, usando quelle tecniche. Prima o poi l’operatore si stancherà e sarà costretto a smettere perché si sarà danneggiato.
Ohashi critica, seppure mai citandolo apertamente, il sistema dei pollici sovrapposti cioè lo Shiatsu Namikoshi. che chiama semplicemente “Shiatsu”. D’altra parte sembra che non voglia pagare nessun tributo allo Shiatsu di Shizuto Masunaga. Con mia immensa sorpresa ho in seguito scoperto che lo stesso Ohashi curò la traduzione in inglese del testo fondamentale di Masunaga “Zen Shiatsu” che acquistai in un secondo tempo.
Lo Shiatsu (Namikoshi), afferma Ohashi, è caratterizzato da un atteggiamento sintomatico, il corpo dell’operatore è teso, costui preme con forza usando principalmente i pollici sovrapposti o appaiati. Apporta benefici solo a chi riceve, si focalizza principalmente sui punti ed è piuttosto doloroso. L’operatore è indaffarato in un lavoro col corpo per il paziente.
L’Ohashiatsu invece – ma anche lo Shiatsu che pratico e lo Zen Shiatsu di Masunaga da cui entrambi derivano – ha un atteggiamento olistico. L’operatore è in tono e non preme ma si appoggia impiegando entrambe le mani quindi c’è una mano madre ed una che si muove. Usa l’addome (hara) e non la forza fisica. L’Ohashiatsu apporta beneficio a chi dà e a chi riceve ed è piacevolmente profondo. L’operatore medita mentre tratta il ricevente di cui si considera anche l’aspetto psicologico e spirituale. L’attenzione è incentrata sui meridiani piuttosto che sui punti ed il lavoro viene svolto in primis per l’operatore.
Ho avuto occasione di essere introdotto allo stile Namikoshi durante i seminari che Daniele Giorcelli tiene presso la mia scuola. Per quello che ho visto e capito, lo Shiatsu Namikoshi ha un approccio basato molto sulla ritmicità, quasi ipnotica, delle pressioni che vengono effettuate solamente usando i pollici sovrapposti o appaiati. A mio avviso è uno stile piuttosto efficace, anche se rimane un po’ faticoso per chi lo esegue e per chi lo riceve.
Al momento tendo ad incorporare alcune tecniche di questo stile, specialmente le pressioni a pollici sovrapposti su punti molto vuoti (Kyo) e in particolare sul punto Namikoshi e sui muscoli paravertebrali, sul ramo interno della Vescica Urinaria.
Considero che l’abilità tecnica di un operatore consista anche nella possibilità di applicare schemi diversi e nella capacità dunque di passare da un paradigma ad un altro a seconda delle situazioni, mai perdendo di vista il proprio benessere e la propria integrità, come ci insegna Ohashi.
Personalmente ho avuto la fortuna di imparare una forma di Shiatsu che considera prioritario il fatto che l’operatore dopo avere finito un trattamento si senta bene, energizzato e allegro. Ciò non esclude però la possibilità, all’occorrenza, di adottare anche altre tecniche e stili che non abbiano questa priorità specialmente quando si devono soddisfare particolari esigenze del ricevente.
Come conciliare allora approcci così diversi? A mio avviso si tratta di modulare questa “contaminazione”, inserendo all’interno delle proprie sequenze e kata qualche tecnica ma senza esagerare, senza snaturare il proprio stile.
In seguito si potrebbero adottare le proprie sensazioni alla fine del trattamento come parametro di valutazione della propria prestazione: se ci si sente spossati e “svuotati” energeticamente, ciò significa che l’interazione tra Tori e Uke non è stata fruttuosa, almeno per il corpo-mente dell’operatore. Probabilmente la causa va ricercata in tecniche e posizioni troppo “forzate” e innaturali o in un approccio che non ha considerato bene le esigenze del ricevente.
In conclusione uno Shiatsu che voglia dire anche “benessere per l’operatore” è una priorità se si vuole lavorare a lungo nel tempo. All’occorrenza, quando Uke lo richiede, si può arricchire il proprio stile con altre tecniche, mantenendosi comunque entro i limiti del proprio approccio, senza snaturarlo. E dopo avere concluso un trattamento avremo un bel sorriso.
Fabio Ronci